È ancora tanta la diffidenza diffusa verso la grafologia, anche a causa di un pessimo servizio reso a questa scienza da parte dei media (e dalle frequenti semplificazioni proposte da grafologi incauti). Tentiamo allora di fare un po' di chiarezza rispondendo ad alcune tra le domande che più di frequente vengono rivolte al grafologo.
D: La grafologia è una scienza o una pratica esoterica?
R. La grafologia è una disciplina fondata su canoni precisi che le conferiscono dignità di scienza umana. È basata su una metodologia rigorosa, frutto di ricerche realizzate su decine di migliaia di scritture. Agli albori della disciplina i segni riscontrati sono stati correlati ad aspetti comportamentali presenti ed accertati negli scriventi. Si è così evidenziata statisticamente la correlazione tra segni grafici e comportamenti. Questo non significa però che l’analisi grafologica si basi su generalizzazioni. Il grafologo sa bene che la scrittura è un prodotto neurofisiologico: come non esistono due cervelli uguali, allo stesso modo non esistono due scritture uguali. L’abilità del professionista sta proprio nel ricostruire e interpretare il gesto grafico al fine di cogliere l’individualità di chi l’ha prodotto.
A tal proposito ci sembra opportuno citare le parole del Professor Umberto Veronesi riguardo alla grafologia: “Io credo che la grafologia abbia senz’altro un carattere scientifico, ma che entri nella categoria delle pseudoscienze quando se ne fa un uso banale e approssimativo, un po’ come succede con la psicologia quando viene ridotta in pillole per i quiz psicologici pubblicati dai giornali. Se invece viene usata in modo corretto, e integrata con altre discipline (psicologia e psicanalisi, ma anche fisiologia e neuroscienze), la grafologia è un metodo scientifico, che può aiutare a conoscere meglio le persone”.
D: Perché la grafologia è una scienza umana e non una scienza esatta?
R. L’analisi dei segni non può avvenire in modo meccanicistico. I singoli segni non hanno un significato assoluto, ma vanno visti in rapporto agli altri, andando a comporre quello che il grafologo chiama “ambiente grafico” globale. Inoltre occorre tenere conto di diversi presupposti prima di procedere a un’analisi grafologica, che vanno dal titolo di studi alla nazionalità dello scrivente, dalla presenza di malattie o traumi che possono incidere a livello grafomotorio alla situazione in cui lo scritto da analizzare viene prodotto: prensione dello strumento grafico, postura, umore del momento, mano scrivente, temperatura esterna, tipo di penna utilizzata… Sono tutte variabili che bisognerebbe tenere in considerazione prima di approcciarsi allo studio di una grafia. L’ideale sarebbe poi disporre di più di un campione di scrittura, presupposto fondamentale qualora venga richiesta un’analisi longitudinale che ripercorra l’evoluzione della persona nel corso del tempo.
D: La grafologia è una tecnica divinatoria?
R: La grafologia è una scienza umana senza alcuno scopo divinatorio, ma che intende "fotografare" l'individualità dello scrivente nel qui e ora. In ambito di orientamento scolastico e professionale, per esempio, rappresenta un valido supporto, perché consente di mettere a fuoco le motivazioni e le attitudini di chi scrive, ma fare luce sulle potenzialità di una persona non significa predirne il futuro.
D: Ormai la scrittura a mano è sempre meno utilizzata: quando scrivo uso una calligrafia "forzata", contratta, che non sento mia. Pertanto non vedo quale valore possa avere oggi la grafologia.
R: Oggi i parametri dei grafologi si sono adeguati: il grafologo sa bene che la scrittura viene inevitabilmente influenzata dallo scarso allenamento, e visto l’impatto della tecnologia nella nostra vita quotidiana, è un fenomeno che riguarda tutti, a prescindere dal livello di studi o dalla professione svolta. Il fatto che però una scrittura non sia calligrafica, non inficia l’attendibilità dell'esame grafologico né penalizza lo scrivente. Anzi! L'esame grafologico si basa su una molteplicità di informazioni che vanno ben oltre la forma, e che spaziano dalla pressione all’impostazione spaziale, dalla direzione del rigo all’inclinazione degli assi. Non dimentichiamo, come già accennato, che la scrittura ha una matrice neurofisiologica. Questo significa che non è un prodotto casuale della mano, ma di gesti e azioni guidati dal cervello. E come non esistono due cervelli uguali, allo stesso modo non esistono due scritture uguali. Detto in altri termini, la scrittura è un atto cerebrale, e il prodotto grafico è il risultato delle stesse attività neuronali da cui derivano i comportamenti. Quella che lo scrivente a volte giudica come una scrittura che si discosta troppo dal modello è semplicemente il frutto delle minori occasioni d'uso, ma è comunque il prodotto peculiare e individuale di chi l'ha tracciata.
D: In caso di disgrafia o semplice difficoltà grafo-motoria, che senso ha la rieducazione della scrittura? L’utilizzo del computer non può sostituire la scrittura manuale?
R: L’apprendimento della calligrafia e del corsivo è sempre più trascurato, e c’è chi si chiede se abbia un senso continuare a studiarlo. Ci si dimentica che non si tratta di una mera questione formale: imparando la scrittura in corsivo il bambino acquisisce abilità e competenze fondamentali. La pedagogia e la psicologia dell’età evolutiva sottolineano infatti che il senso del corsivo va oltre la sua effettiva utilità pragmatica e ribadiscono quanto sia cruciale nella crescita, nella coordinazione occhio-mano e nella sequenzialità delle parole che si riflette in sequenzialità del pensiero. Inoltre scrivere a mano aiuta i bambini a imparare le lettere e le forme, migliora il processo di creazione delle idee, abitua alla flessibilità, sollecita l’organizzazione spaziale e può anche incrementare notevolmente lo sviluppo delle capacità motorie. La fatica della scrittura manuale è un fondamentale processo di apprendimento per ogni bambino. Privandolo di questa significativa esperienza si rischia un impoverimento educativo. Non dimentichiamo poi che dietro ogni scrittura c’è una persona: la scelta di un proprio stile personale è una tappa importante della crescita e un forte mezzo di affermazione dell’identità. Rinunciarvi avrebbe un importante impatto anche dal punto di vista espressivo.
Anche le neuroscienze, poi, stanno evidenziando che scrivere a mano tiene il cervello in allenamento. Scrivere a penna o a matita è qualcosa di molto diverso rispetto alla scrittura con una tastiera, perché richiede l’uso di tratti per creare una lettera: movimenti delle dita che mettono in moto ampie regioni del cervello, le stesse coinvolte nel pensiero, nella memoria e nel linguaggio.
Un recente studio condotto dall’Università di Washington, per esempio, ha dimostrato che nella prima età scolare i bambini scrivono a mano più parole, più velocemente ed esprimendo più idee di quanto facciano usando una tastiera. Un’altra indagine realizzata da studiosi dell´Indiana University ha rilevato che i bambini che avevano imparato e si erano esercitati con la scrittura a mano hanno un cervello più attivo rispetto a quelli che si limitano a guardare le lettere sullo schermo del computer dopo aver premuto i rispettivi tasti.
D: Se è giusto che i bambini imparino il corsivo, che senso ha scrivere ancora a mano per un adulto?
R: Il cervello e le mani dell’uomo sono cresciute insieme. Nel momento in cui la mano smette di agire, il cervello smette di crescere. E questo è un dato di fatto della nostra evoluzione come genere umano. Sempre più persone trascorrono le loro giornate tra computer, smartphone, tablet e pc. Ma le neuroscienze stanno dimostrando che sarebbe invece molto importante recuperare, e anzi migliorare, la propria capacità di scrittura a mano, che rappresenta un formidabile esercizio per le nostre potenzialità cognitive. Oltre a quanto già detto sopra, tra i vari studi citiamo, a titolo di esempio, quello pubblicato di recente sulla rivista scientifica Journal of Cognitive Neuroscience, secondo cui gli adulti imparano meglio una lingua straniera se prendono appunti usando penna o matita, di quanto accada se lo fanno tramite un computer. Questo perché, lo ribadiamo, i movimenti delle dita attivano le stesse regioni del cervello coinvolte nel pensiero, nella memoria e nel linguaggio.
D: L’uso del corsivo, in particolare, non è anacronistico?
R: Il corsivo è più che mai attuale e funzionale alla crescita armonica della persona. Il corsivo (dal latino “currere”, che corre o scorre) è fatto per valorizzare la mano, perché implica gesti vicini ai movimenti spontanei del bambino e dell’adulto, e asseconda la velocità di pensiero.
Inoltre, dal punto di vista grafologico, il corsivo è personale e rivela l’identità di chi scrive, le sue attitudini e le sue potenzialità.
Viceversa la scrittura in stampatello è più omologata e anonima, e se viene scelta intenzionalmente, può esprimere un desiderio di nascondimento da parte dello scrivente: è quindi uno schermo che può suggerire una difficoltà nei processi di identificazione e socializzazione. E non a caso è molto diffusa tra gli adolescenti, che sembrano voler nascondersi dietro l’omologazione dello script e dello stampato maiuscolo.
D: La rieducazione della scrittura è rivolta solo ai bambini?
R: No, non è raro che ricorrano alla riabilitazione grafo-motoria anche adulti che, avendo di fatto sostituito la penna con la tastiera del PC, sperimentano una difficoltà grafomotoria che si può manifestare in termini di scioltezza del gesto, destrutturazione della forma, tensione della mano scrivente, illeggibilità.